Depressione

Il termine depressione deriva dal verbo «deprimere», portare giù, ad un livello più basso, affondare. Nel linguaggio corrente indica uno stato d'animo caratterizzato da tristezza, insoddisfazione, noia, svogliatezza e da un'inclinazione pessimista dei pensieri e delle previsioni. Questa tonalità affettiva fa parte del normale registro delle emozioni umane. E una condizione che capita a tutti di attraversare, più o meno spesso, di solito passeggera e lieve abbastanza da non alterare granché la vita quotidiana; si tende a metterla in connessione con eventi che sembrano capaci di spiegarla. Nel linguaggio psichiatrico, invece, la parola depressione designa uno stato mentale patologico espresso da una serie di sintomi che, con varia intensità, compongono la «sindrome depressiva».

Secondo la teoria ippocratica e le interminabili riprese successive che hanno dominato la medicina occidentale fino al xvni secolo, quattro umori (sangue, flegma, bile gialla e bile nera o atrabile) si mescolano nel corpo umano e il loro equilibrio (eutimia) corrisponde alla buona salute. La prevalenza dell'uno o dell'altro umore determina il temperamento: sanguigno, flemmatico, collerico (bilioso) o melanconico. Quattro sono gli umori come sono quattro gli elementi (acqua, terra, aria, fuoco) e quattro le qualità (caldo, freddo, secco, umido): il corpo dell'uomo è un microcosmo, è lo specchio dell'universo. Gli umori sono liquidi che circolano o ristagnano. La rottura della loro armonia, la loro separazione, il raffreddamento o il riscaldamento, la stasi, l'ispessimento o l'essiccazione provocano malattie. E l'atrabile è responsabile della melanconia. La teoria degli umori apparterrebbe all'archeologia della medicina se uno dei quattro non fosse entrato a far parte, profondamente, della nostra cultura e del nostro linguaggio: la bile nera, la melanconia, la depressione, in virtù delle quali parliamo ancora, nelle nosografie psichiatriche più moderne, di disturbi dell'umore. Umori, umore. La parola ha a che fare con quello che è umido, liquido, fluido; una materia fluttuante che scorre, cambia, prende forme sempre diverse. L'umore è vagabondo, inafferrabile, poco prevedibile, testimone dell'impossibilità di controllare e dominare del tutto se stessi: l'Io non è padrone in casa propria, come ricorda da un secolo la psicoanalisi. La teoria degli umori, in fondo, non è mai morta sul piano immaginario. La concezione freudiana della libido piena di continue metafore idrauliche (flusso, blocco, fissazione, spostamento, sublimazione, ecc.) non allude anch'essa a qualcosa che scorre, si arresta, prende forme continuamente diverse con effetti talora di malattia? Non c'è forse qualcosa di umorale nell'ipotesi cha collega i disturbi mentali alle vicissitudini del flusso, da cellula a cellula, dei neurotrasmettitori ? E l'uso degli psicofarmaci non è ' diretto a ristabilire un equilibrio nell'ambiente liquido interno ?

Nell'antichità, come ha ricordato J. Starobinski, i medici curavano le passioni del corpo e i filosofi le malattie deE'anima: analogie, incertezze e confusioni tra le une e le altre erano - come sono tuttora - frequenti. Nel mondo cristiano comparve poi una nuova domanda rispetto alla quale la depressione si presentava sfuggente: era malattia o peccato ? Toccò ai Padri della Chiesa, come san Gerolamo, il compito di dirimere il dubbio diagnostico e di chiarire se la persona in esame era colpita da affezione melanconica, tale da richiedere un trattamento medico, o era colpevole di un peccato di tristezza, di un attacco accidioso. Si riteneva che l'accidia - caratterizzata da pesantezza, torpore, disperazione, tristezza muta, afonia spirituale - venisse dal corpo e che diventasse peccato mortale quando l'anima se ne compiaceva e con volontà perversa vi si abbandonava.

L'accidia era collegata all'ira e gli accidiosi erano definiti iracondi amari, l'amaro della bile nera. Nel settimo canto dell'Inferno gli accidiosi sono stati posti proprio accanto agli iracondi, anzi sotto, sommersi dalle acque melmose dello Stige: non abbiamo ricordato che il verbo latino deprimere vuol dire spingere giù, affondare? Nella Commedia l'afonia spirituale degli accidiosi si riflette nella punizione di contrappasso che scontano: i tristi coperti dal fango - che allude all'umore nero - non hanno più la «parola integra» e possono emettere solo gorgoglìi indistinti. San Tommaso accusava gli accidiosi di ingratitudine verso Dio e il suo dono della luce, e Dante li defini uomini sempre tristi, anche quando l'aria è dolce e allietata dal sole. Si tratta di straordinarie intuizioni che riguardano l'altra scena della depressione, il suo versante inconscio, l'invidia e la rabbia che sottendono la tristezza, come hanno ben chiarito gli studi psicoanalitici del '900, a partire da quelli di S. Freud. Negli stessi anni di Freud e di E. Kraepelin, K. Jaspers ha proposto una psicopatologia generale il più possibile libera da vincoli teorici e da necessità diagnostiche. Grazie alla sua influenza lo studio psichiatrico dei disturbi dell'umore e degli stati depressivi ha guadagnato in cura e finezza. Particolare curioso, la Depression Rating Scale di M. Hamilton (1967) è stata ispirata dal pensiero di Jaspers. La tristezza depressiva ha sempre reclamato un rimedio che passasse per la parola o per un medicamento o per un regime da applicare alla vita quotidiana. Non siate solitari e non siate inattivi, raccomandava R. Burton in Anatomia della malinconia (1621) come ricetta pratica contro la melanconia.

Mentre la psicoanalisi sviluppava la «cura di parola» degli stati depressivi, nuove terapie somatiche si affacciavano alla ribalta. L'elettroshock, inventato da U. Cerletti e L. Bini nel 1938, si dimostrò presto una tecnica che poteva sbloccare in molti casi stati melanconici gravi. Vent'anni dopo, l'ingresso in campo dei primi farmaci capaci di cambiare l'umore segnò un'altra rivoluzione. La scoperta degli effetti antidepressivi dell'imipramina, il più antico triciclico, è legata al nome di R. Kuhn, psichiatra poco conosciuto che lavorava in un piccolo ospedale cantonale svizzero. La molecola era stata prodotta dai laboratori Geigy di Basilea con l'idea di cercare un nuovo neurolettico, sulla linea della clorpromazina. Una volta verificata la sua inefficacia nella schizofrenia, l'imipramina sarebbe stata abbandonata se Kuhn non avesse avuto la curiosità di interessarsi agli effetti eccitanti del farmaco -segnalati come danni collaterali nelle prime sperimentazioni - e l'intelligenza di provarlo in pazienti melanconici gravi. Kuhn ebbe tenacia e mano felice anche nel somministrarlo a lungo perché, come tutti gli antidepressivi, l'imipramina ha un tempo di latenza terapeutica di qualche settimana. I suoi risultati furono pubblicati nel 1957 e E Tofranil apparve subito come una possibile alternativa all'elettroshock. In pochi decenni il numero dei farmaci antidepressivi è salito rapidamente, dagli inibitori delle monoaminossidasi o imao (anni '50 del '900) agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina o isrs (anni '80). Con le nuove molecole non è tanto aumentata l'efficacia quanto sono diminuite frequenza e gravità degli effetti collaterali. Questo dato favorevole ha provocato un enorme aumento delle prescrizioni e dell'uso, aumento spesso ingiustificato, e ha incoraggiato l'idea di curare la vita e ogni sua quota d'infelicità allo stesso modo della malattia depressiva. Le manifestazioni della depressione possono essere raggruppate in quattro settori principali: alterazioni emotive, cognitive, psicomotorie e vegetative. Nelle alterazioni «emotive» la tristezza è radicale, persistente, incontrollabile e si pone come un cambiamento, in forma di accentuazione o di frattura, rispetto allo stato d'animo consueto. Il quadro emotivo è dominato dallo scoraggiamento, dal disinteresse per tutto, dall'anestesia affettiva (sensazione dolorosa di non provare più sentimenti), dall'anedonia (perdita della capacità di provare piacere), dal dolore morale (sofferenza psichica profonda, lancinante). Nelle alterazioni «cognitive» la memoria e la capacità di attenzione e di concentrazione possono risultare indebolite. Pensieri e giudizi sono dominati dal pessimismo, da un senso d'impotenza colpevole, dalla svalutazione di sé. L'interesse per il presente è scarso, prevalgono le ruminazioni sul passato. Compaiono l'idea (quasi sempre) e la tentazione e il gesto (talora) del suicidio. In molti casi di alterazione «psicomotoria», invece, si osserva un rallentamento sia dei movimenti che delle associazioni mentali. Forza, energia, capacità d'iniziativa sono diminuite. Nel caso delle alterazioni «vegetative», infine, calano sia il senso di fame che il desiderio sessuale. Sono frequenti disturbi del sonno e varie sensazioni di dolore e malessere fisico. Le forme più lievi di depressione sono compatibili con una vita relativamente normale. Le forme più gravi («maggiori» nel lessico anglosassone) interrompono il corso abituale di un'esistenza; la «melanconia» ne è il prototipo. Sintomi di tipo depressivo possono essere indotti da cause riconoscibili, come l'ipotiroidismo o certi farmaci, o possono far parte delle manifestazioni di una schizofrenia o di una demenza. In tutti questi casi si parla di stati depressivi «secondari» a malattie descritte da un'altra diagnosi.

L'espressione «depressione iatrogena» è riservata, in particolare, ai casi in cui trattamenti farmacologici, interventi chirurgici o psicoterapie mal condotte sembrano all'origine di sintomi depressivi in un soggetto che non ne aveva mai sofferto prima. La classificazione delle depressioni primarie è un capitolo specialmente controverso. I maggiori sistemi nosografici in uso, il DSM-IV-TR e l'ICD-10, propongono due cataloghi, forse sovrabbondanti, che in parte coincidono e in parte divergono, soprattutto per una diversa organizzazione gerarchica delle categorie diagnostiche. Proviamo a tracciarne i profili nelle loro linee generali. Nella sezione dedicata ai disturbi dell'umore, il DSM-IV-TR ha scelto, prima di tutto, di separare i «disturbi depressivi» dai «disturbi bipolari» (bipolare I, bipolare II e ciclotimico), sulla base della presenza, nella storia clinica di questi ultimi, di almeno un episodio maniacale, ipomaniacale o misto. I disturbi depressivi, poi, sono stati distinti in: 1) disturbo depressivo maggiore - episodio singolo, diagnosi da porre la prima volta che la malattia si presenta nel corso di una vita; 2) disturbo depressivo maggiore ricorrente, diagnosi da porre quando si sono già ripetute più volte, a distanza di tempo, varie crisi depressive; 3) disturbo distimico, quando il malessere dura da almeno due anni e non sono mai stati presenti, tutti insieme, i sintomi richiesti per la diagnosi di depressione maggiore. Il quinto capitolo dell'ICD-10 ha diviso invece il blocco dei disturbi dell'umore in cinque categorie diagnostiche principali: episodio maniacale, disturbo bipolare, episodio depressivo, disturbo depressivo ricorrente e disturbi dell'umore persistenti (distimia e ciclo timia).

Dopo aver riportato le posizioni dei due maggiori sistemi nosografici contemporanei vogliamo richiamare brevemente alla memoria, in ordine alfabetico, alcune espressioni storiche che fanno ancora parte del lessico psichiatrico anche se, per lo più, non figurano nelle due classificazioni né compongono una sistematica clinica unitaria e condivisa.

È detta depressione «agitata» quella in cui prevale un'agitazione psicomotoria intensa e improduttiva. Depressione «anaclitica» è il modo in cui R. Spitz chiamò, nel 1946, i sintomi di un bambino privato della madre dopo aver avuto con lei un rapporto normale per i primi sei mesi di vita. L'attributo è esteso talvolta a quei casi di depressione che intervengono in età adulta, in occasione di separazioni e abbandoni, sullo sfondo di una personalità dipendente. Nella letteratura psichiatrica francese, la depressione è definita «atipica» quando sintomi depressivi si intrecciano con sintomi di tipo schizofrenico, come bizzarrie e disturbi del corso del pensiero. Gli psichiatri di lingua inglese, invece, chiamano atipiche le depressioni con sintomi vegetativi rovesciati rispetto a quelli consueti: ipersonnia, iperfagia, aumento di peso. Si parla di depressione «bipolare» per gli episodi depressivi che occorrono nel corso di una malattia maniaco-depressiva, quindi con una storia di crisi maniacali o miste (disturbo bipolare I) o ipomaniacali (disturbo bipolare II). La depressione «confusa» è un quadro di sintomi complicato da diminuzione della vigilanza, disturbi della memoria e disorientamento nello spazio e nel tempo. Quello di depressione «endogena» è stato all''origine un concetto eziologico, usato per indicare le forme che insorgono in assenza di eventi scatenanti rintracciabili o di una personalità di tipo depressivo. Si riteneva plausibile attribuirla a cause biologiche intrinseche all'individuo, costituzionali. Oggi l'espressione non si applica più tanto sulla base di ipotesi causali quanto piuttosto per segnalare la presenza di sintomi di tipo melanconico, quindi come sinonimo di melanconia. Nel 1974 lo psichiatra americano D. Klein propose di sostituire i termini endogena ed esogena, riferiti alla depressione, con «endogenomorfa» ed «esogenomorfa», proprio per mettere in chiaro la mancanza di pregiudizi eziopatogenetici. Torniamo a quei sintomi depressivi ai quali compete ancora l'attributo ippocratico «melanconici». Ecco un elenco sintetico: rallentamento psicomotorio, anoressia, calo ponderale, insonnia della seconda metà della notte, ritmo circadiano marcato con peggioramento dei sintomi al mattino e attenuazione verso sera, anestesia affettiva, anedonia, convinzione di inguaribilità. Sono stati descritti vari tipi di melanconia. Melanconia «involutiva» è il nome dato alle forme che esordiscono tardi, in età senile, spesso con un quadro pseudodemenziale che può porre problemi non semplici di diagnosi differenziale. Nelle melanconie «ansiose» o «agitate» lo stato di agitazione psicomotoria è il sintomo maggiore. Talora la diagnosi è depistata e il rischio di suicidio aumenta. Nella melanconia «stuporosa» il soggetto è immobile, amimico, obnubilato; non mangia e non beve, con i rischi vitali conseguenti. Si parla di melanconia «cronica» quando i sintomi si protraggono per anni, mentre di solito durano da sei a ventiquattro mesi. Deliri e, talora, allucinazioni sono presenti nella melanconia «delirante». I contenuti più comuni dei deliri melanconici sono temi di colpa, rovina economica, malattia: temi coerenti con l'alterazione depressiva, verso il basso, dell'umore (deliri catatimici). In certi casi, invece, i contenuti del delirio appaiono meno congrui rispetto al tono dell'umore come quando compaiono idee di persecuzione senza temi di colpa. E’ l'evoluzione nel tempo della patologia, più che l'enunciato del delirio, a fondare la diagnosi di melanconia delirante. Su tutti i temi di delirio, compresi quelli depressivi dei quali stiamo parlando, la cultura alla quale si appartiene esercita potenti azioni patoplastiche. Nei soggetti depressi provenienti da culture non occidentali, per esempio, i temi di persecuzione sono più frequenti di quelli di colpa. Questo elemento può complicare la diagnosi transculturale di melanconia delirante. Una rara varietà di delirio melanconico che ha affascinato molti psichiatri e psicoanalisti è quella descritta nel 1882 da J. Cotard con il nome di delire de négation. Il malato affetto da sindrome di Cotard nega l'esistenza dei suoi organi, del suo corpo, degli oggetti, del mondo e, insieme, è abitato da un paradossale sentimento di enormità e di immortalità infelice: sente di occupare l'universo, un universo privo di vita, per un tempo senza fine, Il delirio di negazione si può manifestare in forma acuta o cronica, nel quadro di una psicosi senile. Quando prevalgono sintomi somatici privi di spiegazioni organiche, per esempio dolori ribelli a qualsiasi antalgico, si usa parlare di «depressione mascherata». Sono stati chiamati «nevrotici» gli stati depressivi legati a organizzazioni conflittuali del soggetto secondo la teoria psicoanalitica. Anche le espressioni «depressione psicogena», «esogena», «reattiva» partivano da ipotesi eziologiche: l'idea che in in un certo numero di casi fosse preminente il peso di fattori di ordine psicologico, rappresentati da tratti stabili di personalità o da reazioni contingenti a eventi traumatici. Depressione «psicotica» era ed è usato come sinonimo di melanconia delirante. «Ricorrenti» sono state definite le depressioni che tendono a recidivare. Quando sono stati presenti nella storia clinica episodi maniacali o misti o ipomaniacali si iscrivono nella cornice di un disturbo bipolare e si parla anche, come abbiamo già visto, di depressioni bipolari. In caso contrario si è usata e si usa a volte l'etichetta «depressione unipolare». «Ricorrenti brevi» sono state denominate le crisi depressive rapide che durano pochi giorni e hanno una grande tendenza a recidivare. Le depressioni «stagionali», infine, sono quelle che precipitano regolarmente nello stesso periodo dell'anno, per lo pid in autunno-inverno, forse collegate alla diminuzione delle ore di luce. Sono numerose le persone che presentano i sintomi di una depressione maggiore, il 2-3 % della popolazione generale; e ancora di più quelle che rientrano nelle diagnosi correnti di depressione lieve o moderata (distimia) : 10-15 %. La prevalenza (numero di casi attivi in un certo momento) è maggiore nelle donne (donne-uomini, circa 2:1) per una incidenza (numero di casi nuovi per anno) effettivamente superiore e non, come a volte si è pensato, per una durata più lunga degli episodi. Molti studi portano a ritenere che la differenza sia legata a fattori sociali piuttosto che genetici e ormonali. Fra l'altro, la fascia d'età in cui è più marcata è quella compresa tra i 20 e i 60 anni, quando i ruoli sociali degli uomini e delle donne sono più chiaramente distinti. Incidenza e prevalenza sono più elevate nelle classi socioeconomiche povere, fra le persone meno istruite, disoccupate, separate, divorziate, vedove. Si è fatta l'ipotesi di una selezione sociale negativa dei soggetti con tendenze depressive ma le ricerche non hanno potuto dimostrare una mobilità sociale verso il basso. Il profilo genetico ha un certo peso, soprattutto nella depressione maggiore. Studi epidemiologici su gemelli hanno attribuito ai fattori genetici 1'11 % della varianza e agli accadimenti recenti il 15%.

I fatti della vita, remoti e recenti, contano molto nel predisporre alla depressione o nel precipitare una crisi. Ma la rete dei modulatori è vasta e intricata e può rendere il peso degli stessi eventi diverso da persona a persona e da momento a momento.

Il ruolo dei neurotrasmettitori è da qualche decennio fra i maggiori campi di ricerca, anche per le applicazioni di tipo psicofarmacologico. L'ipotesi aminica è stata certamente suffragata da studi come quelli che hanno trovato bassi livelli di 3-metossi-4-idrossifenilglicol (mhpg, metabolita della noradrenalina) nelle urine dei depressi o come quelli che hanno trovato, post mortem, bassi livelli di serotonina (5-HT) e dei suoi metaboliti nei cadaveri di suicidi. Punti oscuri e contraddizioni importanti restano, stimolo e sfida per gli studi neurobiologici. In alcuni casi, l'insorgenza di sintomi depressivi può essere collegata a cause riconoscibili (depressioni secondarie): endocrinopatie (ipotiroidismo, iperparatiroidismo, malattia di Cushing), traumi craniocerebrali, neoplasie (in particolare del pancreas, del cervello e del polmone), malnutrizione compresa quella da anoressia nervosa (con la mediazione di un deficit di vitamina B12), farmaci e droghe d'abuso (per es. corticosteroidi, metildopa, propanololo, cimetidina, alcol, astinenza da amfetamine), demenza che può esordire con i sintomi di una depressione così come è possibile il contrario (pesudodemenza depressiva), schizofrenia. Gli stati depressivi si distribuiscono lungo un gradiente di gravità molto ampio, di cui il trattamento deve tenere conto. Tra i farmaci, nessun antidepressivo è in grado finora di produrre effetti terapeutici prima di 10-14 giorni. Triciclici e serotoninergici sono le classi più utilizzate, eventualmente in sequenza quando la prima scelta non funziona; si sa ancora poco sui rischi e sui benefici di una loro eventuale associazione. Aggiungere sali di litio può servire in certe depressioni resistenti. Un antipsicotico come il risperidone è utile nel trattamento delle depressioni agitate, anche in quelle dell'età senile, o accompagnate da sintomi psicotici. In generale, le depressioni con sintomi melanconici sono le più sensibili al trattamento farmacologico. L'elettroshock trova ancora un'indicazione riconosciuta in rari casi di depressione grave, resistente ai farmaci, con elevato rischio di suicidio, specie se complicata da un delirio. La prevenzione di ricadute e recidive, molto comuni, impone di continuare i trattamenti farmacologici per almeno sei mesi dopo la remissione dei sintomi. Una psicoterapia è più efficace dei soli farmaci nel ridurre il rischio di nuovi episodi.

MASSIMO CUZZOLARO